Ho partecipato con emozione a Trinitapoli, insieme a numerosi amministratori locali, alla commemorazione delle vittime delle foibe nel Giorno del Ricordo, che dal 2004 è solennità civile nazionale. Una tragedia che purtroppo conosco bene anche per tristi vicissitudini familiari, essendo mio nonno paterno originario di Pola, che coinvolse alla fine del secondo conflitto mondiale uomini, giovani donne, bambini e anziani con l'unica colpa di essere italiani in una regione di confine caduta sotto la dittatura comunista. Tante le storie di vite spezzate che finalmente negli ultimi anni sono state riportate alla luce, almeno della pietà umana, dal buio pesto in cui erano state sepolte non solo fisicamente, nelle profonde cavità carsiche, ma anche simbolicamente, con la rimozione dalle pagine di storia e dalle coscienze. Negli anni della mia attività istituzionale presso il nostro ente provinciale sono stato promotore anche di un protocollo d'intesa con il mondo scolastico e associativo che ne incentivasse la diffusione della conoscenza. Eppure, non mancano ancora oggi i tentativi di chi, in nome di una squallida contabilità dell'orrore, contesta i numeri di quel dramma, come se per condannare la violenza fosse necessario dimostrarne la quantità. Atteggiamenti e iniziative che si commentano da sé e che squalificano umanamente chi vorrebbe arrogarsi il diritto di essere unica vittima, chi attraverso il revisionismo e il negazionismo aspira al monopolio del dolore a senso unico, dimostrando con ciò di non aver compreso affatto il senso di queste ricorrenze, analoghe e parallele: accomunarci tutti nel rifiuto di ogni forma di sopruso e violenza, che non può mai trovare giustificazione alcuna.