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mercoledė, 18  marzo 2020



14:27:00
Eraclio in mascherina, tentativo fallito
Nota congiunta a Barletta contro il gesto di un artista barlettano



Ieri in Rete sono state diffuse fotografie che mostravano il Colosso di Barletta, monumentale
statua in bronzo nota col nome di Eraclio, con il volto coperto da una mascherina anticontagio.
Dato il momento, un artista barlettano ha pensato di poter approfittare della situazione per
proporre la sua idea di arte, salendo (autorizzato o meno) sino al volto della statua bronzea e
vituperandola con una sorta di assorbente facciale. Il suo intento, forse nobile, di sensibilizzare
l’opinione pubblica locale a prendere le precauzioni necessarie contro il COVID-19, è fallito nello
stesso momento in cui egli stesso, per ottemperare al suo gesto, ha dovuto infrangere le regole
imposte dal DPCM dell’11 marzo 2020 e da diverse ordinanze sindacali che impongono agli italiani
e ai barlettani di non uscire di casa e di seguire il regime di parziale limitazione alla mobilità
imposto per il bene comune. Un regime al quale il popolo italiano sta reagendo in modo composto,
anche durante i flashmob più rumorosi, anche quando, per esorcizzare paura e noia, molti cittadini
hanno animato le loro serate con musica, canti e rumore, partecipando ciascuno a modo proprio a
iniziative spontanee nazionali.
In questo quadro, però, un giovane cittadino ha pensato (male) che fosse possibile usare una
parte importante e identitaria del patrimonio monumentale locale per lanciare un messaggio e, al
contempo, per farsi pubblicità. Su alcune bacheche Facebook gente che non conosce il valore e le
problematiche conservative del Colosso, ha esaltato questa “azione di guerrilla comunicativa”, in
un certo qual modo chiarendo che non di arte si tratta ma di comunicazione. La differenza è
sostanziale, e ci è stato chiaro sin da subito.
Il paragone che molti stanno facendo da ieri con la celebre azione di Marcel Duchamp sulla
Gioconda è infatti improprio, per molti motivi. L’artista dadaista, disegnando i baffi sul volto della
donna leonardiana, intendeva in quel modo onorare l’opera di Leonardo dissacrandola, rendendola
più conforme al presente e, per questo, compiendo un’azione anticonformista rispetto al senso
artistico comune. Ma egli non pensò nemmeno per un minuto di disegnare quei baffi sul quadro
originale, riconoscendone il valore di capolavoro dell’arte universale, ma operò su una
riproduzione fotografica della tela leonardiana. Allo stesso modo sarebbe stato salutato
diversamente un intervento fatto su una riproduzione del Colosso, da far girare in Rete o da
affiggere su manifesti e per le strade della città. E un primo banale punto di differenza che, però,
sottende un dato preciso: quale considerazione abbiamo, noi barlettani per primi, della statua
elevata su Corso Vittorio Emanuele? Ne conosciamo il valore simbolico e artistico, o la guardiamo
solo come un elemento dell’arredo urbano e, per questo, in ogni momento modificabile? Eraclio fu
elevato in stretta connessione con la Basilica del Santo Sepolcro, alla metà del Trecento, forse su
precise disposizioni dei sovrani angioini che, con quell’azione, desideravano completare la
ristrutturazione della cosiddetta “platea magna” della città, da quel momento divenuta il centro del
potere civile e religioso di Barletta. Lì si svolgeva la fiera di San Martino, si amministrava la
giustizia, si riconosceva, attraverso il volto del Colosso, il legame della città con la corona e con la
Terra Santa. Lì fu eretto il sedile del popolo, luogo nel quale per secoli una parte della politica
locale fu chiamata a prendere decisioni utili al bene della collettività, sotto lo sguardo severo
dell’imperatore bizantino e della protezione della reliquia del Santo Legno della Croce venerata
nella Basilica del Santo Sepolcro, cui la statua è legata da un filo diretto.
Ci domandiamo, dunque: quale senso artistico, quale creatività ha, invece, un gesto come quello
di mettere la mascherina al Colosso, spacciandolo per una forma d’arte? È una domanda che ci
poniamo, convinti, infatti, che l’autore di un gesto simile non comprenda in alcun modo il valore
sacrale del manufatto di corso Vittorio Emanuele, la sua estrema debolezza statica, il pericolo che
un precedente simile possa sdoganare azioni e gesti simili da parte di chiunque voglia in futuro
utilizzare il patrimonio monumentale cittadino a fini personali, di lucro o di semplice e mera
pubblicità. Ciò è tanto più grave se non si considera quanto un gesto del genere possa essere
pericoloso per l’incolumità del delicatissimo manufatto e per quella dello stesso autore del gesto.
Si dirà: in passato la statua è già stata oggetto di atti di questo tipo. Circola una foto delle feriae
matricularum degli anni Sessanta, con un gruppo di buontemponi che si lasciarono immortalare ai
piedi del Colosso dopo avergli messo in testa una feluca, il cappello a punta simbolo dei goliardi;
oppure molti ricordano ancora la sciarpa biancorossa che fu sistemata sul collo di Eraclio durante
la festa per la promozione del Barletta in serie B, o il cartello appesogli al collo da un gruppo di

attiviste locali. È vero, in passato è successo, ma ciò non significa che debba essere tollerato o
giustificato. Si tratta, semmai, di precedenti che, pur guardati da alcuni con occhi nostalgici,
dovrebbero indurre a educare le generazioni future a evitare gesti simili e non a lasciar loro
pensare che un bronzo del secolo VI d.C. possa essere trattato come un qualsiasi soprammobile
della propria casa. È aberrante l’idea che del nostro patrimonio pubblico e monumentale chiunque
possa fare ciò che vuole e scambiare un intervento invasivo e pericoloso per se stessi e per il
monumento come un fatto goliardico o, peggio, come un’idea creativa o artistica.
Si dimentica, inoltre, in tutto questo, un’altra cosa importante. Il particolare momento che stiamo
attraversando dovrebbe spingerci a riservare maggiore rispetto, pur nella volontà di esorcizzarla
anche in modo goliardico, nei confronti della sofferenza e della morte, anche quando esse siano
apparentemente lontane e non sembrino toccarci direttamente. Anche per questo le nostre
Associazioni desiderano in modo netto dissociarsi da questa azione, in rispetto per quelle
comunità del Nord Italia e dei molti barlettani che vi risiedono, alcuni dei quali sono medici,
operatori sanitari e volontari, impegnati in prima linea nelle corsie degli ospedali di Bergamo,
Codogno, Brescia, Milano ecc..
Oggi il Colosso è, tra le grandi statue tardoantiche che sono giunte sino a noi dal passato, l’unica
ancora esposta all’esterno, alle azioni corrosive degli agenti atmosferici e dell’inquinamento,
all’azione violenta che su di essa può muovere l’uomo. A seguito dunque di questo ennesimo atto
violento nei confronti del manufatto, rispetto al quale auspichiamo che le autorità competenti
agiscano in modo sanzionatorio, desideriamo che l’Amministrazione pubblica promuova azioni
concrete per la sua valorizzazione e per la corretta educazione delle generazioni future alla sua
comprensione.

Victor Rivera Magos, storico Università della Basilicata
Luciana Doronzo Touring Club Italiano
Pietro Doronzo per ArcheoBarletta
Francesco Violante, storico Università di Foggia, per Associazione del Centro Studi Normanno-
Svevi
Raffaele Lopez per Sigea
Luisa Filannino per Associazione Virgilio
Luisa Derosa, storica dell’arte Università di Bari
Ruggiero Doronzo, Dottore di ricerca Università di Bari e storico dell'arte
Erica Davanzante, The Walkers
Marco Bruno, The Walkers
Alessandro Cascella, The Walkers
Simona Falcetta, The Walkers
Maurizio Triggiani, storico dell’arte Associazione del Centro degli Studi Normanno -Svevi
Giulia Perrino, storica dell’arte Associazione del Centro degli Studi Normanno-Svevi
Massimo Ambruoso, storico Associazione del Centro degli Studi Normanno-Svevi
Marco Campese, archeologo Università di Bari


Redazione










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