Il senatore Damiani: "Un ragazzo del Sud solleva per un giorno il Paese dal baratro delle sue angosce per portarlo in alto più che si può"
"Oggi, 28 luglio, - spiega il senatore Dario Damiani (FI) - ho il piacere e l’onore di ricordare in questa Aula un’impresa sportiva olimpica che appartiene a tutti noi italiani ma che ho il privilegio di poter celebrare da concittadino dello straordinario atleta che ne fu protagonista. Esattamente 40 anni fa, il 28 luglio 1980, Pietro Mennea, nato come me a Barletta, in Puglia, vinceva l’oro olimpico a Mosca nei 200 metri.
Nella storia dell’atletica mondiale il nome di Pietro Mennea è scolpito a caratteri cubitali, è un monumento non scalfito dal tempo, oggi diremmo un’icona indelebile. Un gigante che ha macinato record su record, un atleta che ha alzato l’asticella delle prestazioni sportive a livelli inarrivabili e insuperabili. Una “macchina da guerra” diremmo, se ci fermassimo al semplice elenco delle sue vittorie e delle sue medaglie. Eppure, sono convinto che chiunque di noi abbia avuto la fortuna di vivere quelle emozioni all’epoca, sa bene che una descrizione fatta solo con il linguaggio della potenza e della fredda meccanica non è abito che gli si addice. Di Pietro Mennea abbiamo tutti negli occhi innanzitutto le esplosioni di gioia, lo stupore, l’incredulità per il traguardo tagliato prima degli altri nonostante le oggettive disparità fisiche e muscolari fra lui e gli avversari. Le sue imprese arrivano dritte prima al cuore e poi alla mente di chi lo ha potuto ammirare, perché nascono da una forza che prima di essere fisica è tensione morale.
L’oro olimpico conquistato a Mosca nel 1980 fu sintesi perfetta della sua capacità straordinaria e inimitabile di crederci fino in fondo, di non arrendersi neanche di fronte all’evidenza: una gara che fino a metà percorso sembrava irrecuperabile, con Mennea sesto. Impresa impossibile per chiunque ma non per lui, che negli ultimi metri letteralmente vola verso il traguardo attingendo l’energia dalla sua viscerale passione, dai suoi sogni incontenibili, dai suoi desideri che bruciano proprio come la fiamma olimpica, senza spegnersi mai.
Le Olimpiadi di quell’anno sono lo specchio fedele di un mondo diviso ancora in due blocchi contrapposti, con gli Stati Uniti che boicottano la manifestazione sportiva. Le divisioni e gli scontri ideologici sono il terreno in cui purtroppo in quegli anni in tanti Paesi si semina il terrore. E l’Italia non fa eccezione; ma in quel giorno, per quella manciata di secondi, la nazione sospende per un attimo il dolore e lo sgomento che da tempo le gravano addosso, per colpa delle stragi che la straziano nel periodo più buio della nostra storia recente, come quella di Ustica di un mese prima.
Un ragazzo del Sud solleva per un giorno il Paese dal baratro delle sue angosce per portarlo in alto più che si può, nell’Olimpo dello sport mondiale e ci insegna con quel suo gesto del dito alzato al cielo a puntare sempre al massimo risultato, qualunque siano le condizioni di partenza; che per ogni avversità c’è una volontà capace di superare ogni ostacolo. Perciò le sue vittorie non sono mai state semplici numeri registrati da un cronometro e da un tabellone, per quanto eccezionali e strabilianti; ma sono state simboli della fame di riscatto di una terra, di una nazione, che voleva, sapeva e poteva raggiungere obiettivi grandiosi con fatica e sudore mescolati a talento e passione.
Dire di Pietro Mennea che aveva un carattere duro, chiuso, scontroso, è narrazione comune e probabilmente anche vera. Ma è innegabile che nessuno come lui ha saputo coltivare la solitudine e la sofferenza di uomo che insegue i suoi sogni facendola fiorire in meravigliosi gesti atletici donati al mondo con l’umiltà e la grazia per le quali non lo dimenticheremo mai".