«Vero ignorante è chi non ha imparato la lezione della Storia. I nostalgici del fascismo devono prendere atto della condanna senza appello del ventennio sia come regime che come ideologia su cui è germogliato». Questa la risposta all’intervento dell’Avv. Carmine Dipaola (pubblicato sulla pagina della Gazzetta del Mezzogiorno del 16 gennaio) da parte del consigliere di maggioranza Giuseppe Bufo, quale primo firmatario della proposta nel Consiglio comunale scorso per la raccolta di firme a favore del pdl popolare contro il nazifascismo.
«Lo squadrista dei “fasci di combattimento” nati in p.zza S. sepolcro a Milano il 23.3.1919, ben prima della “marcia su Roma” dell’ottobre ‘22, è l’emblema del vigliacco, del “verme” che si serve dei sodali per vilipendere la vita e la libertà degli inermi. Ciò che mi offende, come cittadino e come consigliere comunale non è tanto l’opinione giuridica sulla proposta di legge (su cui presto tornerò per confutarne gli assunti), quanto le confuse ed inappropriate citazioni, sintomo queste -davvero- di sottocultura. Parto da Renzo Defelice e dal suo non originalissimo discrimine tra movimento e regime. Indubbio lo studio del tema soprattutto nelle circa 7mila pagine del suo “Mussolini”, rimane per vero controverso e perplesso il suo iter ideologico dal comunismo e socialismo al revisionismo. Il nostro prof. Luciano Canfora ha già sottolineato, meglio di quanto io possa, la matrice togliattiana del distinguo. Condivido anch’io l’obiettiva lettura del contesto di stampo socialista nel quale l’embrionale esperienza del movimentismo postbellico ebbe a collocarsi.
Ciò che non si può accettare e si rimanda al mittente è l’anelito, (ancor oggi) ad un secolo di distanza, ad un “incompiuto” od “impossibile” o l’assimilazione del fascismo/i col comunismo/i od il richiamo a stilemi “mitici” (celtici, in particolare). Sono gli argomenti tipici del “revisionismo”, quegli stessi che vorrebbero porre sullo stesso piano la “resistenza” al nazifascismo con altri fenomeni della storia, come le morti dovute alla dittatura di Tito. Le libertà di pensiero (21 Cost.) e di associazione (18 e 49 Cost.) e i diritti inviolabili (2 Cost.), impropriamente richiamati, esprimono plasticamente un’idea di società civile fondata sul rispetto dell’altro. Dove, invece, il “verme” squadrista, mellifluo qual è, tenta pian piano di aggregare intorno a sé un contesto di isolamento dei più fragili (ebrei, omosessuali, neri…) va fermato, prima che abbia possibilità di organizzarsi ed armarsi per far danno. La XII disp. Trans. e fin. Cost. voluta dai nostri padri costituenti, padri fondatori del nostro sistema democratico repubblicano vincitore sulle dittature nazista e fascista, vieta la “riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
Questo principio costituzionale precettivo è stato attuato dapprima con la legge Scelba 645/52, voluta da Degasperi e dall’intero Governo per motivi di sicurezza a pochi anni dall’esperienza tragica. Essa vieta “riorganizzazione” (art.1), “apologia” (art.4), manifestazioni (art.5). Con la legge 654/75 si è poi ratificata la Convenzione di New York del ‘66 contro ogni discriminazione razziale, trasformando le ipotesi di cui all’art.5 da contravvenzioni in delitti. Infine con la legge Mancino 205/93 si è voluto punire più gravemente chi propaganda idee di superiorità od odio razziale, assurto ad elemento sintomatico. Orbene sui dubbi sollevati riguardo alla tenuta costituzionale delle norme citate è intervenuta a più riprese la Corte costituzionale (sentenze 1/57, 74/58, 15/73) riaffermando la piena legittimità dei controversi art. 4 e 5 della legge Scelba. Del resto l’art.18 CEDU consente restrizioni agli art. 18 e 21 Cost. ove sussista una concreta esigenza di sicurezza, di difesa dell’ordine e prevenzione dei delitti. Passando alla grossolana taccia di “ignoranza” con cui in modo superficiale e sprezzante si addita la Relazione accompagnatoria al progetto di legge d’iniziativa popolare, si ricorda che detto PDL (1’ firmatario l’On.le Fiano del PD) è stato approvato dalla Camera dei deputati nella scorsa Legislatura, il cui termine ha impedito che avvenisse anche al Senato. L’esigenza d’introdurre l’art.293 bis c.p. e le altre integrazioni nasce proprio dalle perplessità interpretative in sede giudiziale.
Evitando di annoiare con citazioni di massime della Suprema Corte, indubbiamente scarna è la casistica di condanne per le condotte punite dalle norme richiamate. Molto spesso, trattandosi di reati di pericolo concreto, genericamente richiamantisi alla XII disposizione ransitoria della Cost. ed al timore della riorganizzazione, passano indenni al vaglio delle responsabilità penali condotte ascrivibili nondimeno a detta sottocultura di violenza e sopraffazione. È stato difficile in oltre 70 anni di vita della Repubblica definire col diritto vivente della aule di Giustizia ciò che non è specificamente normato. E allora quando una pubblica manifestazione è tale (60 partecipanti o meno ?)? Quando la chiamata “al presente” ha rilievo penale? E il “manganello” in che contesto prova il reato ? Sono o meno elementi? Ed il “sieg ehil” (saluto alla vittoria), slogan nazista? Dalle sentenze della Cassazione MEREU (‘08) su internet e SCARPINO (‘13) su Blog, passando per BONAZZA (‘14) e GOGLIO (‘16) e CLEMENTE (‘17) si arriva ai giorni nostri in cui si deve assistere ad un generalizzato incrudelimento dei c.d. “sovranismi”, “negazionismi”, organizzazioni che lucrano e si organizzano mercé la vendita di malcelati simboli del fascismo.
La norma tende allora a rendere specifica la fattispecie, normandola espressamente e sottraendola all’incerta interpretazione del giudice penale, nella perfetta costituzionalità. Io, pertanto, non distinguerei affatto tra movimento e regime, in quanto dal movimento è sorto il regime ed ambedue sono stati condannati dalla Storia! Invito a firmare, a Barletta (ed ovunque), a piano terra del Comune, al Grow Lab corso Vittorio Emanuele, all’Ambulatorio popolare piazza Plebiscito. Invito CGIL, CISL, UIL, Associazioni, Istituzioni e Cittadini a mobilitarsi. Avv. Giuseppe Bufo primo firmatario della proposta in Consiglio comunale».